Risalire dalla forma attuale (o dal dialetto che la traduce) dei nomi dei luoghi al primitivo significato ed alla denominazione iniziale, è impresa improba, anche perché alle difficoltà intrinseche collegate alla primordiale forma orale (non scritta se non in epoca tarda) s’aggiungono le interpretazioni che secoli dopo l’insediamento del nucleo abitato alcuni studiosi ci hanno consegnato, spesso partendo da particolari deduzioni che poi, ad una esame critico, non possono reggere essendo contro logica o, comunque, incompatibili anche con una ricostruzione filologica.
Due illustri studiosi locali, ossia monsignor Angelo Zavaglio nel suo volume Terre Nostre e il professor Pietro Savoia in Cremona (rassegna della Camera di Commercio di Cremona, n. 3 del 1984) con notevole certezza sposano, per Capergnanica una tesi identica (o quanto meno di identica derivazione etimologica) scartando decisamente, senza appello, l’altra pur non priva di buone argomentazioni.
In particolare, la denominazione "Capergnanica" deriverebbe dal modo con cui, da sempre, il centro dell’abitato viene indicato dagli abitanti, ossia Carobio (Carube in lingua cremasca), che sarebbe la trasformazione del termine Quadrivio che sta ad indicare le quattro vie che si intersecano al centro dell’abitato. Da Quadrivio, dunque, la derivazione di Quadrivianica, ossia la villa eretta sul Quadrivio.
L’altra versione, che viene però respinta dai due autorevoli studiosi, offre una soluzione più semplice, meno complessa ma non per questo meno degna di accreditamento.
Secondo il Mazzi, storico bergamasco, nella sua pubblicazione Corografia Bergomense, edita nel 1880, un nobile gentiluomo bergamasco della progenie dei Caprinius, era di casa nel nostro paese avendo qui possedimenti da tempo immemorabile. E non deve meravigliare la presenza di una nobile famiglia bergamasca a Capergnanica se si tiene conto dell’importanza strategica come via di comunicazione del nostro paese, e, soprattutto, se si ha presente che qui ebbe possedimenti il monastero di San Paolo d’Argon (Bergamo), poi venduti, nel 1155 dallo stesso monastero a Lantemo e Girardo, figli di Manfredo, conte di Bergamo, possedimenti che in precedenza già erano di proprietà della stessa famiglia, che a sua volta li aveva ceduti (regalati?) ai monaci.
Meno complesse le vicende legate al nome di Passarera, anche se si rilevano due tesi contrapposte.
Secondo alcun storici l’attuale denominazione deriverebbe – etimologicamente – dal latino Passeraria, ossia località destinata al richiamo ed alla cattura dei passeri (degli uccelli in genere) che qui trovavano l’habitat naturale per sostare e nidificare: la vicinanza dell’Adda con le sue rive alberate ed una folta vegetazione e la presenza in terre vicine di ampie riserve di caccia, rendono dunque accettabile questa tesi.
Vi si oppone, non senza qualche sua valida ragione, ancora il nostro Zavaglio, il quale sostiene che l’etimologia della denominazione va ricercata nel verbo passare giacchè – argomenta il nostro – questa località si trovava sulla allora unica strada che congiungeva Crema con il fiume Adda, passando attraverso l’antico (ed ora scomparso) villaggio di Piazzano, dove nel periodo che va dal X al XVI si doveva pagare, per il passaggio, un pedaggio (tassa di transito).
A sostegno di quest’ultima tesi, Luigi Ghilardi, nel riferire della “ Chiesa di Passarera e delle sue opere d’arte” cita un manoscritto inedito che sostiene come nell’antico vallone ove un tempo sorgeva la scomparsa località di Piazzano, passasse l’antica via Passararia per quam itur ad Abduam flumen.